L’altro giorno ho assistito a una gentil tenzone tra un vecchio professore di Lettere e un giovin scrittore a proposito del termine “perplimere”.

Il giovin scrittore sosteneva con ardore la parola in questione, rimarcando frasi e libri in cui questa regnava, coniugata nei più disparati tempi verbali, avendo superato le più aspre e strette maglie di altisonanti editor, quindi la faccenda, per il giovanotto, poteva concludersi lì.

Dal canto suo il vecchio professore insisteva nel proprio atteggiamento nei confronti di quello che lui già faticava ad accettare come neologismo, figurarsi relegarlo nella schiera dei verbi.

La diatriba è durata un tempo relativamente breve, dal momento che l’uno non riusciva a convincere l’altro, sebbene volassero opinioni pregevoli da entrambe le parti.

Nella mia infinita ignoranza mi sento di asserire che “perplimere” sia l’una e l’altra cosa, cioè sia un verbo ma anche, indubbiamente, un neologismo; pertanto il vecchio professore di Lettere e il giovin scrittore avevano entrambi ragione, solo che male accettavano che la ragione dell’uno potesse convivere con la ragione dell’altro.

Per curiosità vi lascio il link dell’Accademia della Crusca dove se ne parla, e se vorrete, potrete dire la vostra nei commenti.


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