Ben ritrovati, librandi. È giunta l’ora di affrontare la seconda parte del discorso “recensioni” iniziato qui.

L’ultima volta, in chiusura di articolo, ci eravamo posti un paio di domande:

1) Come si fa a livellare le monostelle che tanto ci abbassano la media nelle recensioni?

2) Come fanno alcuni libri, oggettivamente bruttini, ad avere tutte quelle recensioni positive ed essere tra i primi dieci/venti nelle classifiche?

È semplice: pagando!

Il fenomeno delle recensioni a pagamento, amichevolmente chiamate RAP, è il fratellino minore di quello delle editorie a pagamento, le EAP.

Prima l’autore, digiuno e inesperto in questa giungla in espansione che è l’editoria del terzo millennio, si affida alle EAP; poi, accorgendosi che la casa editrice non è altro che una stamperia on demand (dove l’unica domanda è quella dell’autore, tra l’altro per contratto, per poter venducchiare a qualche parente e conoscente una decina di copie in tutto), inizia a ponderare di far emergere la sua creatura con le RAP.

Dietro alle recensioni a pagamento c’è un vero e proprio business, con tanto di siti che propongono sconti eccezionali periodici e con altrettanta periodicità spariscono, o cambiano nome.

Questa gente ti assicura dalle venti alle cento recensioni pentastellate, a seconda di quanto vuoi spendere. Alcune sono brevi, altre più dettagliate e qualcuna sembra davvero sincera!

Arrivano a scaglioni per sembrare vere, su Amazon, su Ibs, su Kobo, su altre piattaforme in cui il libro si trovi. Amazon pare il più gettonato, anche perché è un bacino di utenza tra i più vasti.

Amazon è un approdo per gli esordienti scrittori molto ambito quanto facile da usare, ma ahimè, è un campo di battaglia. Pubblichiamo e in men che non si dica finiamo in pasto a quella mandria di bestie fameliche e pretenziose che sono i nostri lettori. E menomale che sono così, aggiungo io, perché ciò significa che al netto di quei due o tre haters che ognuno di noi ha, le loro recensioni non fanno altro che spronarci a migliorare e a sfatare il mito che la gente non legga più.

Poi però, resta l’egocentrico desiderio di avere anche recensioni positive, ma soprattutto avere TANTE recensioni, per poter risalire la classifica e forse meritare l’appellativo “Bestsellerista” sulla ricerca di Google.

Che poi, perdonatemi ma, “Bestsellerista” non si può proprio sentire!

Quindi:

– dopo aver messo mano al portafoglio per farci pubblicare da una casa editrice a pagamento,

– dopo averle pagato un servizio editing quasi inesistente,

– la stampa con l’obbligo di acquistare al 40% del prezzo di copertina dalle 200 alle 2000 copie (non scherzo, c’è chi le richiede, quindi attenzione),

– dopo non aver preso parte minimamente alla realizzazione della copertina e nemmeno a stabilire il prezzo, sempre troppo alto per un libro di esordiente, ma in virtù di quel 40% che pagheremo è necessario sia un prezzo gonfiato,

dovremmo mettere mano al portafoglio anche per avere recensioni onorevoli.

Come funziona?

Nella maggior parte dei casi si paga un tanto a recensione che, almeno su Amazon deve essere giustificata dall’acquisto di una copia.

Questi tizi, per cento recensioni, devono acquistare cento copie del libro. Mal di poco, perché su Amazon c’è sempre la versione eBook, quindi basta attendere che sia scaricabile gratuitamente nei periodi di promo, per poi rilasciare le tanto agognate cento recensioni dalle tre alle cinque stelle (sì, anche tre, per non destare sospetti negli acquirenti, quelli veri, che se vedono troppe pentastelle si insospettiscono).

In definitiva, tu non vedi un cent, anzi, per ora hai solo speso, ma vuoi mettere? Tutte quelle recensioni…

Il problema nasce quando alle fiere ti riconoscono. Tu, il tuo recensitissimo libro e altre balle tipo “il più venduto su Amazon”, presto diventerà una “serie su Netflix”. Serie che attendiamo da ormai svariati anni, ma questa è un’altra storia.


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