[Angelica Romanin, Independently Pub, 2020. ISBN 9798637515769]

Genere: Fantascienza

Io sono cresciuta a colpi di Classici Urania. La Fantascienza è, per me, una cosa molto seria ed è difficile che io trovi un buon libro di fantascienza tra le opere post Urania.

Ammetto quanto sia difficile competere con gente del calibro di Arthur C. Clarke, Fredric Brown, Robert Heinlein… Isaac Asimov. Infatti è quasi impossibile.

Angelica Romanin mi ha piacevolmente sorpresa, perché la sua non è una fantascienza “molta fanta e poca scienza”, anzi. Erano anni che non mi trovavo di fronte una tematica così interessante e descritta in modo avvincente.

Il libro inizia con uno dei cliché più in voga degli ultimi tempi: l’Uomo brucia, consuma, inquina, sperpera. I ghiacciai si stanno sciogliendo. Chi se ne frega, complottisti, non è vero niente. Da sotto i ghiacci emerge una struttura misteriosa, un artefatto di duecentocinquanta milioni di anni fa.

Duecentocinquanta milioni di anni.

Quindi, alla fine, cos’è che mi ha affascinato di questo cliché?

Innanzitutto il realismo con cui la Romanin ha scritto l’intero suo romanzo, poi il fatto che sia Fantascienza vera. Finalmente.

Dopo tanti guazzabugli di alieni più o meno discutibili nei fatti e nell’aspetto, dopo bicchieri interi di fanta – e per giunta sgassata! – ecco nuovamente la Scienza con la esse maiuscola.

Forse vi è sfuggito un particolare: quel “duecentocinquanta milioni di anni”. 250 milioni.

Quanti di voi sanno da quanto l’uomo è Sapiens? Cioè in grado di costruire artefatti con un materiale che a occhio e croce sembra grafene 3D?

E poi c’è il finale, che non vi racconto, a sorpresa, incredibile, che lascia anche un po’ di amaro in bocca, fosse solo per il fatto che noi esseri umani siamo veramente il peggior inconveniente che potesse capitare al pianeta Terra…

Buon libramento e buona lettura.


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